Ipparchia di Maronea

Definizione

Joshua J. Mark
da , tradotto da Alessandra Balielo
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Disponibile in altre lingue: Inglese, Francese
Hipparchia of Maroneia (by Carole Raddato, CC BY-SA)
Ipparchia di Maronea
Carole Raddato (CC BY-SA)

Ipparchia di Maronea (circa 350-280 a.C.) fu una filosofa cinica che rifiutò un’esistenza agiata per vivere le proprie convinzioni e diffondere i propri valori per le strade dell'antica Atene. Era la moglie del filosofo cinico Cratete di Tebe (circa 360-280 a.C.) e fu molto stimata dagli scrittori posteriori.

Le informazioni sulla sua vita provengono da opere di epoche successive, come la Suda (X secolo d.C.) e le Vite degli eminenti filosofi di Diogene Laerzio (circa 180 - circa 240 d.C.), nonché da frammenti e riferimenti di altri scrittori. Nell’Atene del IV e III secolo a.C. ci si aspettava che una donna seguisse l'esempio della madre, rimanendo lontana dalle occasioni pubbliche e dedicandosi alla tessitura e alla cura dei figli. Dopo l’incontro con Cratete, Ipparchia rifiutò questo tipo di vita. Sebbene avesse molti corteggiatori, disse ai genitori che avrebbe sposato solo lui, e poco dopo i due si unirono in matrimonio.

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Ipparchia, il marito e in seguito i loro due figli vissero per le strade di Atene come dei senzatetto: ciò era in linea con la loro convinzione che i beni fossero una trappola. Non possedevano nient'altro che i vestiti ed entrambi raccomandavano il proprio stile di vita come un percorso verso la libertà e un genuino rapporto con la realtà. L'esempio di Ipparchia e Cratete, insieme a quello di Socrate (470/469-399 a.C.), avrebbe infine influenzato la filosofia di Zenone di Cizio (circa 336 - 265 a.C.), fondatore dello Stoicismo.

La Scuola Cinica

La Scuola Cinica fu fondata da un discepolo di Socrate, Antistene di Atene (circa 445-365 a.C.). Era uno degli studenti più anziani di Socrate e aveva un’attività commerciale ben avviata, ma si era dedicato molto presto allo studio della filosofia con i sofisti di Atene, tra cui Gorgia (circa 427 a.C.), il quale insegnava che ciò che nel mondo passa per conoscenza era solo opinione. L'insegnamento centrale di Gorgia fu ampliato da Socrate, che chiedeva alle persone di esaminare ciò che ritenevano essere la verità per scoprire se lo fosse effettivamente o se fosse semplicemente una loro opinione.

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ANTISTENE E I SUOI SEGUACI ERANO CHIAMATI “CINICI”, DALLA PAROLA GRECA KYNOS (CANE), PERCHÉ SI RITENEVA VIVESSERO COME CANI.

Questi due insegnanti influenzarono l'istituzione della Scuola Cinica da parte di Antistene. Egli rifiutava le teorie, l'etica e i comportamenti socialmente accettabili a motivo della loro artificiosità e perché allontanavano dalla comprensione diretta della realtà. Antistene e i suoi seguaci furono chiamati "cinici", dalla parola greca per "cane" (kynos), perché si pensava vivessero come cani. I beni erano considerati una trappola che si impossessava dei proprietari: così i cinici davano via tutto ciò che possedevano e vivevano nel modo più semplice possibile, mendicando cibo per le strade o ricevendo doni dagli ammiratori.

Il cinico più famoso fu un allievo di Antistene, Diogene di Sinope (circa 404-323 a.C.): egli innalzò ulteriormente per i Cinici l'asticella del comportamento, predicando che qualsiasi atto, considerato virtuoso e naturale se compiuto in privato, non doveva essere censurato se compiuto in pubblico. Ad esempio nello spazio pubblico dell’agorà non era consentito mangiare, ma poiché mangiare era un atto naturale per un essere umano, Diogene mangiava regolarmente lì. Egli faceva i propri bisogni liberamente, si masturbava in pubblico e dormiva al mercato in una botte.

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È noto soprattutto perché in pieno giorno, tenendo una lanterna o una candela sul viso delle persone, diceva che stava cercando un uomo onesto. Con questa azione sperava di far capire alle persone che le loro esistenze erano artificiose e che si ingannavano se pensavano di essere veramente vivi: in realtà stavano solo recitando la parte che la società aveva scritto per loro. Diogene aveva molti ammiratori che gli fornivano cibo e sembra che dagli Ateniesi fosse considerato per lo più un personaggio divertente. Tuttavia i suoi insegnamenti e il suo esempio avrebbero avuto un effetto duraturo su molte persone che lo seguirono, incluso un giovane di una ricca famiglia di Tebe, conosciuto come Cratete.

Cratete di Tebe

Cratete era figlio ed erede di una ricca famiglia tebana e stava per seguire il modello di vita paterno, ma la visione di uno spettacolo teatrale cambiò tutto. L'opera era la Tragedia di Telefo, in cui il re Telefo, figlio di Eracle, viene ferito da Achille e per guarire deve chiedere il suo aiuto, poiché solo colui che aveva inflitto la ferita avrebbe potuto guarirla. Travestito da mendicante, Telefo si reca al campo di Achille e lo convince a sanare la ferita con la stessa lancia che l'aveva inflitta.

Crates of Thebes by Giordano
Cratete di Tebe, di Luca Giordano
Velvet (Public Domain)

Non si sa quale parte di questa storia abbia commosso Cratete in modo così sconvolgente: fatto sta che in seguito diede via tutti i suoi beni personali, lasciò la famiglia e si recò ad Atene per proseguire gli studi di filosofia. Può darsi che fosse stato impressionato dal fatto che un uomo vestito da mendicante riuscisse a ottenere ciò di cui aveva bisogno per sopravvivere in maniera più efficace rispetto allo stesso uomo nelle vesti di re. Qualunque fosse la motivazione, andò ad Atene per seguire Diogene di Sinope, ascoltando le sue lezioni ed emulando la sua vita.

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Diogene, come Antistene, credeva che tutte le maniere e i costumi sociali non fossero altro che bugie usate dalle persone per mascherare la loro vera identità e i loro veri sentimenti; Cratete adottò questa stessa concezione. Affermava, come il suo mentore, che non c'era nulla che un essere umano faceva naturalmente in privato che potesse essere considerato vergognoso in pubblico. Come esempio portava l’episodio riguardante un giovane, di nome Metrocle di Maronea, che studiava filosofia con Teofrasto nel Liceo (fondato da Aristotele). Lo storico William D. Desmond racconta la storia come si legge in Diogene Laerzio:

Una volta, mentre declamava, Metrocle emise un peto in maniera udibile e si vergognò così tanto che non si fece più vedere in pubblico, decidendo di lasciarsi morire di fame. Cratete gli fece visita, gli diede da mangiare dei lupini e argomentò per convincerlo che la sua azione [di emettere peti] non era sbagliata o innaturale e in effetti era stata per il meglio. Poi Cratete concluse la sua esortazione con un grande peto. "Da quel giorno Metrocle cominciò ad ascoltare i discorsi di Cratete e divenne un valente filosofo" (DL 6.94). Questa è la divertente e impassibile conclusione di Diogene Laerzio, e questo è il punto dei Cinici: tutto è ridicolo, nell’essere umano non c'è nulla di serio e non si dovrebbe far aggrottare le fronti con l'incomprensibile linguaggio aristotelico o vergognarsi di nessuna funzione naturale. (28)

Metrocle si era così vergognato di aver vissuto una situazione imbarazzante in pubblico da aver pensato al suicidio. Cratete lo aiutò a capire quanto fosse sciocco per lui prendere sul serio quell'evento, a qualsiasi livello, perché ogni singola persona presente tra il pubblico di Metrocle aveva fatto, in privato, la stessa cosa che lui aveva fatto in pubblico: avevano riso di lui solo perché stavano tutti recitando una parte secondo le regole arbitrarie della società, non perché avesse fatto qualcosa di sbagliato. Metrocle abbracciò la visione di Cratete, lasciò Teofrasto e divenne uno dei seguaci più devoti di Cratete, portandolo all'attenzione della sorella Ipparchia.

Ipparchia e Cratete

Non è chiaro come Ipparchia abbia potuto sentire Cratete parlare per la prima volta, poiché alle donne non era permesso frequentare le lezioni filosofiche, anche quelle tenute liberamente nell'agorà. È probabile che lo abbia incontrato per la prima volta quando si recò nella loro casa per aiutare Metrocle con il suo problema o qualche tempo dopo. Diogene Laerzio racconta l'inizio della loro relazione:

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Anche Ipparchia, sorella di Metrocle, fu catturata dalle dottrine [di Cratete]. Entrambi erano nati a Maronea. Lei si innamorò dei discorsi e della vita di Cratete e non prestò attenzione a nessuno dei suoi corteggiatori, alla loro ricchezza, alla loro alta nascita o alla loro bellezza. Per lei Cratete era tutto. Prese anche l'abitudine di minacciare i genitori che si sarebbe suicidata se non gli fosse stata data in sposa. I genitori allora supplicarono Cratete di dissuadere la ragazza, ed egli fece tutto il possibile; alla fine, non riuscendo a persuaderla, si alzò, si tolse i vestiti davanti a lei e disse: "Questo è lo sposo, ecco i suoi averi: fa' la tua scelta in base a questo, poiché non mi sarai d'aiuto se non condividerai le mie occupazioni". La ragazza lo scelse e, adottando lo stesso abbigliamento, andava in giro con il marito, viveva con lui in pubblico e partecipava ai banchetti con lui. (Libro VI. Cap. 7, 96-97)

Antistene e Diogene rifiutavano entrambi il matrimonio, considerato una delle trappole della società: Cratete non si sarebbe allontanato da questa posizione se non avesse amato Ipparchia sinceramente. Una volta che lei chiarì che le interessava solo vivere onestamente come lui, i due divennero quasi inseparabili. Ipparchia abbracciò completamente la vita cinica, cedette tutti i suoi averi e visse per le strade di Atene con Cratete. Si dice che facessero sesso apertamente, sotto i portici degli edifici pubblici, in linea con la loro convinzione che nulla che fosse naturale, se fatto in privato, dovrebbe essere considerato vergognoso in pubblico.

Fresco of Hipparchia & Crates
Ipparchia e Cratete, affresco
Unknown (Public Domain)

Ebbero due figli, un maschio, di nome Pasicle, e una figlia, il cui nome è sconosciuto. Ciò che accadde ai bambini non è documentato, ma si dice che Pasicle abbia avuto un guscio di tartaruga come culla, sia stato bagnato in acqua fredda e gli sia stato dato cibo sufficiente solo per soddisfare la fame, tutto per renderlo abbastanza forte da sopportare la vita cinica. Ipparchia attribuì al suo addestramento cinico la facile nascita di Pasicle e sembra che per questo sia stata elogiata da Cratete.

Tuttavia in un’occasione Cratete la criticò garbatamente: quando lei gli tessé un mantello, le chiese se l’avesse tessuto solo per fargli un mantello o per il desiderio di apparire agli altri come una moglie devota, che faceva ciò che ci si aspettava da lei. La risposta di Ipparchia a tale critica è andata persa ma, data la sua arguzia nel rispondere agli altri, è improbabile che l’abbia accettata in silenzio.

Ipparchia nella vita pubblica


IPPARCHIA PARTECIPAVA ATTIVAMENTE ALLA VITA DEI FILOSOFI CINICI, ANCHE AI DIBATTITI CON GLI ESPONENTI DI ALTRE SCUOLE.

Ipparchia partecipava attivamente alla vita dei filosofi cinici, anche ai dibattiti con gli esponenti di altre scuole. Tutta la sua corrispondenza e le sue opere scritte sono andate perdute ma, secondo la Suda, scrisse alcune lettere a un filosofo della Scuola Cirenaica, Teodoro l'Ateo (circa 340 - circa 250 a.C.). Questa scuola era stata fondata da un altro degli studenti di Socrate, Aristippo di Cirene (circa 435-356 a.C.), il quale sosteneva che il più grande bene e scopo della vita fosse la ricerca del piacere. Aristippo fu il primo degli studenti di Socrate a fondare una scuola con lezioni a pagamento perché, come diceva, quando si vogliono soldi, si va alla fonte del denaro, e solo le famiglie delle classi abbienti potevano permettersi di mandare i loro figli in scuole private.

Si pensa che anche Teodoro l'Ateo abbia fatto pagare per i suoi insegnamenti, poiché era uno studente di Aristippo il Giovane (vissuto intorno al 380 a.C.), che in filosofia seguiva da vicino il modello di suo nonno. Cratete e Ipparchia respingevano l'idea di far pagare in cambio della conoscenza, e si pensa che le lettere di Ipparchia a Teodoro si concentrassero su questa differenza di opinione. La Suda, basandosi su Diogene Laerzio, registra scambi personali tra i due in occasione di incontri pubblici, ciò suggerisce che fossero avversari. La studiosa Joyce E. Salisbury descrive una delle loro discussioni:

Ipparchia partecipava alle cene pubbliche con Cratete, sbalordendo gli uomini greci che si aspettavano che solo le prostitute intervenissero a questi raduni. "Confuse" anche uno dei suoi critici, Teodoro, argomentando in stile filosofico: "Se non è sbagliato che Teodoro compia una particolare azione, allora non è nemmeno sbagliato che la compia Ipparchia. Inoltre, se Teodoro schiaffeggia se stesso, non fa nulla di male, quindi, se Ipparchia schiaffeggia Teodoro, nemmeno lei fa nulla di male." La logica della seconda affermazione, sebbene discutibile, spiazzò Teodoro. Non sapendo cosa fare, cercò in maniera villana di mettere in imbarazzo Ipparchia, tirandole su il mantello. Lei respinse la prepotenza e, secondo [la Suda], "non si fece prendere dal panico come una donna". (159)

Ipparchia non si sarebbe vergognata di essere spogliata in pubblico perché andava sempre in giro in stracci e, se i resoconti sono veri, non aveva scrupoli ad avere rapporti sessuali o a fare i suoi bisogni in pubblico. Teodoro, nel tentativo di svergognarla come pensava di poter svergognare una donna, mostrò quanto poco sapesse di lei o della sua filosofia.

Sembra che a quella stessa cena Teodoro abbia cercato di mettere Ipparchia al suo posto ricordandole che era una donna e che le donne avrebbero dovuto occuparsi solo di lavori femminili, come la tessitura. Secondo Diogene Laerzio, Teodoro gridò: "È questa la donna che ha lasciato i suoi pettini da cardatura accanto al telaio?" e Ipparchia rispose: "Sono io, Teodoro, ma credi che io sia stata mal consigliata se, invece di perdere al telaio altro tempo, l'ho usato per la mia educazione?" (Libro VI, cap. 7, 98).

Early Modern Drawing of Hipparchia of Maroneia
Ipparchia di Maronea, disegno, prima Età moderna
Girolamo Olgiati (CC BY-NC-SA)

Questa era una risposta particolarmente acuta perché la filosofia di Teodoro era incentrata sull'importanza dell'educazione. Egli credeva, come in generale la Scuola Cirenaica, che bisognava essere educati a riconoscere ciò che era buono e degno di essere perseguito e ciò che costituiva un male e uno spreco di energie. La risposta di Ipparchia, quindi, colpiva direttamente il punto centrale della sua filosofia, e lui non seppe rispondere. Se avesse detto che lei sbagliava nel perseguire l'educazione, avrebbe dovuto ammettere che tutto il suo insegnamento era sbagliato; se fosse stato d'accordo con lei, avrebbe dovuto ammettere che alle donne doveva essere concessa l’istruzione. Di fronte a queste due possibilità, Teodoro scelse il silenzio, e Ipparchia vinse ancora una volta la discussione.

Conclusioni

Cratete e Ipparchia continuarono a vivere secondo le loro credenze e a insegnare per le strade fino alla morte. Si pensa che Cratete sia morto per primo, di vecchiaia e per cause naturali, e che Ipparchia abbia preso il controllo della scuola. Sembra però che entrambi siano morti lo stesso anno, quindi se Ipparchia fosse diventata la direttrice della scuola, non sarebbe stato per molto tempo. Come gli altri eventi della sua esistenza, anche la data di morte di Ipparchia è registrata solo in opere scritte molto più tardi e potrebbe non essere precisa. Non c'è modo di sapere se le vicende che la riguardano siano storicamente vere, come ha notato la studiosa Laura Grams:

[Questi racconti] dovrebbero essere presi con cautela, dato che Diogene Laerzio scrive secoli dopo e che il suo racconto potrebbe includere storie "adatte" tecnicamente false, ma che sono nate e sono state trasmesse perché avevano un valore esemplare. A causa dell'interesse e delle polemiche scatenate da una donna Cinica, è probabile che su di lei siano state inventate delle storie [come il suo rifiuto di sposare chiunque tranne Cratete]. In ogni caso, sappiamo che Ipparchia scelse di sposare Cratete e di condividere la sua ricerca filosofica. (1)

Secondo scrittori vissuti in epoche successive, come si è detto, Ipparchia avrebbe scritto un certo numero di lettere e opere filosofiche, che però non sono sopravvissute. Ammiratori posteriori, tuttavia, crearono opere attribuite a lei o a Cratete, la più famosa delle quali è Le Epistole Ciniche (I secolo d.C.), che si presentano come lettere scritte da Cratete a Ipparchia sul Cinismo e su come viverlo. L’episodio della critica di Cratete al mantello proviene da queste lettere, ma potrebbe derivare da una storia reale (come forse molti degli eventi descritti nelle lettere), tramandata dagli aderenti alla Scuola Cinica.

L'unico frammento dell'opera di Ipparchia che potrebbe essere sopravvissuto è un epigramma conservato dal poeta romano Antipatro di Sidone (II secolo d.C.), che si pensa sia stato scritto come epitafio:

Io, Ipparchia, non ho seguito le abitudini del sesso femminile

ma i Cinici, cani forti, con coraggio virile.

Non ho voluto gioielli sul mantello né legacci per i miei piedi

né nastri profumati d'unguento; ma un bastone, piedi nudi,

qualunque straccio mi rimanesse addosso e il duro terreno al posto del letto. (Salisbury, 159)

In altre versioni l’epigramma si conclude con il verso "Il mio nome sarà più grande di quello di Atalanta" - un'allusione al mito della fanciulla abile nella corsa e grande cacciatrice - "poiché la saggezza eclissa la corsa in montagna". Non è tanto importante che l'epigramma sia opera originale di Ipparchia, quanto ciò che fa capire su come ella visse: come una donna, come Atalanta, che rimase fedele a se stessa e scelse la vita che voleva, non quella che gli altri volevano per lei.

Info traduttore

Alessandra Balielo
Negli studi e nell'esperienza professionale ho sempre seguito due passioni, per l'insegnamento e per l'archeologia. Nutro un grande interesse per gli studi di genere. Ho lavorato come archeologa, attualmente sono insegnante di Latino e Greco al Liceo.

Info autore

Joshua J. Mark
Scrittore freelance ed ex Professore part-time di Filosofia presso il Marist College (New York), Joshua J. Mark ha vissuto in Grecia ed in Germania, ed ha viaggiato in Egitto. Ha insegnato storia, scrittura, letteratura e filosofia all'Università.

Cita questo lavoro

Stile APA

Mark, J. J. (2021, maggio 27). Ipparchia di Maronea [Hipparchia of Maroneia]. (A. Balielo, Traduttore). World History Encyclopedia. Estratto da https://www.worldhistory.org/trans/it/1-19826/ipparchia-di-maronea/

Stile CHICAGO

Mark, Joshua J.. "Ipparchia di Maronea." Tradotto da Alessandra Balielo. World History Encyclopedia. Modificato il maggio 27, 2021. https://www.worldhistory.org/trans/it/1-19826/ipparchia-di-maronea/.

Stile MLA

Mark, Joshua J.. "Ipparchia di Maronea." Tradotto da Alessandra Balielo. World History Encyclopedia. World History Encyclopedia, 27 mag 2021. Web. 09 mag 2024.